Presentazione del libro su don Giulio Scuvera

Butera, 04.02.2012.

Ileana Faluci

Padre Giulio Scuvera - La storia di un uomo umile servo di Dio nell’amore e nella carità.

Ringrazio Ileana Faluci per l’invito. Sono contento di poter parlare di Giulio, con lui ho condiviso qualche anno della formazione al Seminario di Piazza Armerina e, soprattutto, tempi fecondi del ministero presbiterale.

 

Nel ricordo

 

Per anni ci siamo incontrati al Consiglio Presbiterale, su tante questioni e proposte abbiamo condiviso una sostanziale concordanza di idee e soluzioni, soprattutto abbiamo sognato - con il Concilio Vaticano II - un possibile rinnovamento della nostra chiesa locale a partire da un laicato non marginale e dipendente ma corresponsabile della missione.

Mi stimava, immeritatamente; mi coinvolgeva nei progetti pastorali della diocesi, desiderava e valutava con compiacimento il mio contributo, mentre io provavo nei suoi confronti una certa soggezione, lo consideravo un lungimirante maestro di pastorale.

Evidentemente non era solo questo. Con vero compiacimento ho letto sul profilo Facebook a lui dedicato  (Ricordando don Giulio Scuvera) espressioni che rimandano a un’anima oceanica, a un amore avvolgente, a un uomo che ha saputo intercettare le profondità del cuore dell’uomo.

Riporto solo qualche espressione emblematica:

 

Senza di te non sarei mai stata li quella notte ! senza conoscerti non sarei mai cresciuta. Devo a te tutto ciò che di buono c'è stato e ci sarà nella mia vita.

 

Mi tornano in mente tutte quelle volte che pregavamo insieme, io seduto accanto a te:) eh si..... sono triste perché mi manchi un casino, e proprio ora ho bisogno di pregare accanto a te e ricevere quei consigli, che non finivano se mai vedevi un mio sorriso.

 

Il tuo sorriso è piantato nel nostro petto, e negli ideali. Ci porta a sperare ancora in un mondo più limpido, più onesto...

 

Ti guardavo e vedevo nel tuo viso una bellezza rara, seguivo i tuoi movimenti e ti ammiravo per il tuo garbo, per il tuo vigore, amavo starti vicino per sentire il tuo buon profumo...

 

...bambini disarmati, sinceri, puri, quanto li amavi! Li ho visti rubare un fiore alla propria mamma, per donarlo a te...

 

Don Giulio non fu solo un lungimirante maestro di pastorale. Trovo più ampie descrizioni nel libro che oggi viene presentato.

 

Nel libro

 

Il libro di Ileana Faluci, che ha per titolo Padre Giulio Scuvera - La storia di un uomo umile servo di Dio nell’amore e nella carità, si presenta al lettore come un gradevole collage in cui l’A. fa precedere le sue personali riflessioni su don Giulio, che costituiscono il corpo centrale del libro, dalla prefazione di Mons. Pennisi e dalla presentazione di don Emiliano Di Menza. Il libro è concluso da un’omelia di don Filippo Ristagno e la testimonianza della catechista Maria Carmela Passaniti.

 

Il profilo di padre Scuvera, nel libro di Ileana Faluci, è tratteggiato con comprensibile enfasi agiografica e ciò è dovuto, a mio parere, al fatto che l’esiguo periodo di tempo trascorso dalla morte non consente ancora la giusta distanza per leggere la vicenda terrena di don Giulio con sguardo smagato e panoramico. Detto fra parentesi, e per rispetto a don Giulio e alla sua dirompente personalità, sebbene sia comprensibile in questa fase della raccolta delle memorie, non giova la mitizzazione della persona cara. L’operazione di mitizzazione, anche se gratificante, tende ad allontanare il soggetto dalle masse, dalla storia reale, e il mito – fra l’altro – diventa un oggetto di idolatria non imitabile.

La vita di un uomo, io credo, risulta più vera e da’ ragione della reale grandezza e complessità della persona, se può essere tratteggiata non con esclusive tonalità monocromatiche, ma soprattutto con la perizia del chiaroscuro che allega ai fasci di luce le inevitabili, umanissime zone d’ombra.

Ci auguriamo, perciò, che ulteriori approfondimenti e studi facciano affiorare la poliedricità dell’uomo e presbitero don Giulio Scuvera, bisogna andare alla ricerca delle tracce, dei solchi che ha segnato nella spiritualità, solo in tal modo è possibile percorrere un cammino sperimentato, utile per le future generazioni.

 

L’A., dunque, ha scelto di descrivere don Giulio con lo stile di semplice testimonianza, di immediata risonanza, ma raggiunge il significativo risultato di fornire al lettore la giusta motivazione per accostarsi con curiosità alla sfaccettata personalità del nostro.

Inoltrandosi nelle pagine del libro, il lettore viene catturato dai caldi riverberi che emanano dal racconto, sente il bisogno di una conoscenza più puntuale, forse anche aneddotica, della vita di don Giulio, è tentato di entrare più in profondità nella sua dinamica psicologica e spirituale.

Ma il testo, con l’intenzione d’amore e di gratitudine che lo pressa, non si attarda in analisi, lascia solo intravedere al lettore la ricchezza di una personalità matura ed equilibrata, sublimata dallo Spirito che è andato a riempire vuoti asceticamente creati dallo stesso don Giulio. Una storia – par di capire dalle testimonianze  – non comune, risultato di contaminazioni celesti, di incarnazione della Parola, di accoglienza stupita della sorpresa divina e di resa senza condizioni alla volontà dell’adorato Padre.

L’immagine che di don Giulio molti conserveranno per parecchi decenni ancora, è come l’epifania di un movimento avvolgente di grazia, che ha trascinato e disteso la sua anima fino a farne, nel piccolo, una credibile proiezione storica del grande Amore.

 

Dall’immagine, in qualche modo oleografica, che emerge dal libro, nascono – ineludibili e intriganti – alcune, tante domande sulla sua vicenda umana, di fede ed ecclesiale.

Per esempio, ci piacerebbe sapere come, per quali strade, sia passato dalla turbolenza della contestazione, a volte rancorosa ma sempre pensata con intelligenza, degli anni giovanili (ne accenna anche il Vescovo nella prefazione, p. 8) allo stupefacente amore per la chiesa degli anni della maturità?

 

Per quali vie è pervenuto alla contemplazione liturgica e personale partendo dalla pastorale chiassosa e superficiale delle messe beat, ricordate dall’A. a p. 21?

Quali doni di predilezione della Vergine Maria avranno potuto contagiarlo a tal punto, da impregnare il suo temperamento fino a rivestire i suoi comportamenti di mitezza e docilità?

Avrà attraversato valli oscure, la nube del Dio nascosto, assente?

È possibile raccontare i contatti significativi che hanno determinato la sua vocazione e la sua personalità?

E, poi, la croce… È possibile che la sofferenza della solitudine per le coraggiose posizioni ecclesiali assunte, il dramma familiare (la morte prematura del fratello Fabrizio, ricordata in una testimonianza a p. 48), il cedimento fisico e la malattia degli ultimi mesi, abbiano contribuito a donargli spessore di fede e a levigarlo fino a mostrarlo a tutti splendente nell’abituale, delicato gesto della carità ricordato nel libro come suo tratto distintivo?

Simpaticissimo ed esemplare, a tal proposito, è l’episodio narrato a p. 30, quello della foto ricordo a Lourdes, che lo ritrae non in primo piano contornato dai pellegrini sorridenti, ma accanto ad una ragazzina paraplegica cui sorride e stringe amorevolmente la mano. Ci piacerebbe sapere se don Giulio ha maturato la sua ricca personalità nel diuturno impegno di conversione comune a ogni discepolo del Signore, o se invece ci sia stato un momento di svolta preciso, in cui il Risorto gli è apparso per trascinarlo nella sua sfera d’amore auto trascendente.

 

È difficile, quasi impossibile, trovare risposte esaurienti agli interrogativi che ci ha lasciato don Giulio. Perché ogni uomo, nel suo evolversi, in parte resta mistero a conoscenti e amici e, a volte, anche a se stesso.

La personalità di un individuo, come si sa, è la risultante di diversi fattori, dal corredo genetico, dall’ambiente, dalla cultura (ci piacerebbe, per esempio, spulciare nella sua biblioteca, cosa leggeva?, e fra i suoi CD, a quale musica si abbeverava) dalle circostanze e dalle opportunità, dagli incontri a volte casuali e dalle persone più o meno significative e influenti sull’io della persona e sui suoi ideali, fino alle modalità sempre personali, uniche e determinate, dell’incontro con il Signore.

 

Spesso si resta stupiti di fronte all’opera di cesellatura, definizione, rifacimento, che opera la grazia del Signore in chi si lascia da Lui guidare.

Noi vediamo quest’opera dall’esterno, possiamo descrivere i comportamenti di una persona, possiamo anche spingerci a valutarne la congruità e l’armonia o la disarticolazione e l’incompiutezza, ma non sappiamo pressoché nulla del lavorio lungo, a volte sfibrante, che la persona deve aver sopportato per raggiungere il traguardo dell’equilibrio fra le forze contrastanti della propria umanità.

 

Per quanto riguarda Padre Scuvera, le pagine del libro sono ricche di indicazioni. Ne raccogliamo solo qualcuna.

 

Già nella prefazione mons. Pennisi definisce don Giulio “uomo libero ed entusiasta, credente orante e appassionato, sacerdote innamorato di Gesù Cristo, legato al presbiterio diocesano e pieno di carità pastorale” (p. 8).

 

E la dottoressa Faluci parla dello zio come di “un singolare, audace uomo” (p.14), uomo della parola, educatore vero perché sapeva suscitare domande inquietanti, servo e pedagogo della comunità (pp.15 e 16), anzi costruttore sapiente della comunità (pp. 18-19 e 24-25).

Inoltre, abbiamo a disposizione, nella memoria collettiva di un intero popolo, i fotogrammi di alcuni suoi gesti o comportamenti rivelatori. Il sorriso, per esempio. Largo, contagioso, a volte ironico o sbarazzino, spesso estasiato e compiaciuto, eppure velato di un leggero timbro di riservatezza, o forse era rispetto, timore di essere inopportuno e intrusivo nei confronti dell’interlocutore.

 

Un altro gesto rivelatore della personalità di Giulio è quello della prossimità: doveva stare fisicamente vicino al suo interlocutore, aveva bisogno di guardarlo negli occhi per sentirne la sintonia alla sua persona, al suo discorrere, si spingeva a sollecitare l’intesa amicale con l’abbraccio affettuoso.

 

Vera e intrigante, infine, l’immagine evocata dalla Faluci a p. 16: “La sua vita è stata un appassionato slancio al Padre, un volteggiare gioioso e festante alla sua presenza, ne è testimonianza la sua entrata sull’altare al suono della campana, sembrava che le sue vesti fossero candide e luminose, che il suo corpo fosse trasceso e sopraelevato…”.

 

La vocazione dei presbiteri, di ogni presbitero, ha un’unica matrice: la chiamata del Maestro Gesù a seguirLo nella donazione speciale, che viene celebrata nel mistero pasquale e nel servizio amoroso al corpo di Cristo che è la Chiesa.

 

Ma la sequela, per ogni presbitero di ogni tempo, comporta una doppia fatica, a volte estenuante e non sempre compresa: la fatica di assomigliare più che sia possibile al Maestro-Sposo, e quella di incarnare quella somiglianza in modo originale, irripetibile.

Non ci saranno mai, neanche nello stesso periodo storico e nello stesso ambiente, due presbiteri identici.

Ognuno di loro deve interpretare e rappresentare l’archetipica ministerialità di Cristo modulandola, con sensibilità e reattività personalissime, all’umanità che lui si ritrova – carattere, formazione, preparazione intellettuale, capacità di leggere nei segni dei tempi -, ma anche all’uomo che incrocia nel suo cammino e all’ambiente in cui è mandato per la missione.

È il processo di inculturazione, di incarnazione, di storicizzazione, che iniziato da Cristo stesso, deve prolungarsi attraverso i suoi amici.

 

L’esperienza di sequela cristiana e presbiterale di don Giulio non sfugge a tale regola di verità.

Ci chiediamo se il ministero di don Giulio possa essere compreso dentro una formula sintetica ed esaustiva.

 

Fin dagli anni del seminario, e per tutto il tempo del suo ministero, don Giulio si comprese e operò come prete del Concilio Vaticano II, ne colse con intelligente penetrazione le istanze innovative senza perdere la visione prospettica che fa risalire a Cristo stesso e alla tradizione apostolica il motivo stesso della missione. Mons. Pennisi, nella prefazione (p. 8), dice che don Giulio fu “in diocesi un promotore del rinnovamento conciliare, della comunione presbiterale, della partecipazione ecclesiale, della missione dei laici nella Chiesa”.

 

Del presbitero secondo le linee conciliari, come ricorda il libro di Ileana, don Giulio interpretò tutte le sfaccettature: uomo dello spirito e della parola, appassionato dell’umanità sofferente, in sintonia con il vangelo e con la gente per comprenderne in modo rigoroso i bisogni di cambiamento. Era come una freccia impaziente in un arco teso, conosceva i tempi del  contadino che dopo la semina deve aspettare, ma l’amore per la chiesa e per l’amata umanità lo forzavano al desiderio e alla fretta del compimento.

 

Don Giulio è uno di quei presbiteri, che non si sottraggono alla fatica della ricerca, non si accontentano delle risposte, pure sapienti, distillate dalla tradizione, ma le vagliano e le sanno coniugare con le esigenze di una pastorale in divenire, per urgenza di incarnazione.

 

Molti lo hanno conosciuto e lo ricordano per la serenità raggiunta negli anni della maturità, ma sarebbe far torto alla sua fertile intelligenza e al suo cuore di pastore innamorato della Chiesa non ricordare gli anni scalpitanti della giovinezza ministeriale. Essi coincisero con il fermento teologico e pastorale che sfociò nel Vat. II e che, dal Concilio, fu ancora di più enfatizzato.

 

Anche per don Giulio furono anni di ricerca, di passione, di inquietudine intellettuale e di sperimentazioni pastorali. Sempre tenendo ferma la rotta su Cristo e sui fratelli nella cordiale accoglienza di ognuno, nella valorizzazione simpatica dei carismi. Si potrebbe dire che, anche negli anni della cosiddetta contestazione, non venne meno la sua tenace fede nell’uomo nuovo e la sua pervicacia nel tentativo di costruire con tutti – vescovo, confratelli, uomini politici e amministratori, fedeli, alunni – sane, libere e feconde relazioni: credeva nel primato della persona.

 

 

 

Nel racconto

 

La vicenda spirituale e pastorale di don Giulio, nervoso, insofferente, ma teneramente appassionato di Cristo e della Chiesa, ha ispirato in parte la figura di don Gabriele, il giovane protagonista del mio racconto che ha per titolo L’udienza: a pochi anni dall’ordinazione, don Gabriele si ritrova a dover gestire una profonda crisi, che da ecclesiale rischia di diventare esistenziale. Trova simpatico aiuto nel suo Vescovo, che, un pomeriggio, lo riceve nel suo studio privato.

 

<<Don Gabriele è di media statura e veste abitualmente abiti borghesi con qualche tocco di civetteria: un foulard di seta al collo, felpa griffata, polsini marchiati, ray-ban a goccia, capelli biondi cortissimi a spazzola, il palmare a portata di mano. I suoi occhi, in continuo, nevrotico

movimento, sembrano cercare altri occhi, un’intesa, una compromissione di pensiero, forse anche una relazione amicale oltre le parole e la corporeità. Intuitivo, intelligente, gli piace sondare ogni cosa, non è mai pago di risposte prefabbricate, si imbizzarrisce di fronte agli stereotipi di ogni genere. Sa di essere per natura originale e perfezionista, un out-sider. Ma si accetta, un po’ anche si piace.

 

(dopo alcuni convenevoli…)

 

Il giovane prete si lanciò in una confessione totale, sincera, sofferta.

In questa Chiesa – cominciò – non mi ci trovo più; mi sta stretta, non l’accetto, non è la chiesa per cui ho chiesto di fare il prete. Mi perseguita una strana sensazione: mi sento un estraneo, in questa chiesa; e non necessario per il mondo…

Il padre vescovo ascoltò ogni parola del discepolo con attenzione amorosa, sembrava a tratti rabbuiarsi, contristarsi. Credette di capire da cosa nasceva la tristezza di quel figlio, che non si fermava più e, con gli occhi umidi da innamorato deluso, continuava a confessare la sua

resa…  … in questa nostra chiesa ci sto male: troppe regole, troppa morale, troppe tradizioni inutili e stantie…  tutto ciò lentamente soffoca lo Spirito.

…E la gente fugge, anche i migliori sono disorientati… stiamo voltando le spalle a Cristo, non se ne accorge anche lei, padre?

Aveva pronunciato le ultime parole quasi in un sussurro, con un nodo di pianto in gola, con lo strazio di chi assiste, impotente, all’umiliazione della persona cara.

Don Gabriele sapeva che cosa ora avrebbe detto il suo maestro, quell’aneddoto lo conosceva quasi a memoria. Ma al vescovo piaceva raccontarlo e lui si dispose pazientemente all’ascolto.

 

…Conosci la storia di quel giovane monaco che andò dall’anziano del monastero e gli chiese: “Come si spiega che molta gente inizia a seguire Cristo e poi se ne torna indietro?”.

L’anziano monaco gli rispose: “Hai mai visto i cani che vanno a caccia della lepre? C’è un primo cane che ha visto la lepre: abbaia e si mette a correre dietro la lepre, sempre abbaiando; altri cani sentono abbaiare il primo e si accodano a lui perché abbaia e corre, e corrono anche loro. A un certo punto però alcuni cani si stancano e si fermano, sono quelli che si erano messi a correre non perché avevano visto la lepre, ma perché avevano sentito abbaiare. Invece i cani che si erano messi all’inseguimento perché avevano visto la lepre con i loro occhi non si fermano fino a che non raggiungono la preda”. Così rispose l’anziano.

Un silenzio antico, indisturbato, riempiva il salotto dell’episcopio e i due, non guardandosi più negli occhi, provarono a entrare nel mistero del Cristo abbandonato, con la comune passione d’amore per Lui e per la chiesa.

– So cosa provi, Gabriele. Capisco il nervosismo, l’angoscia e la delusione che ti divorano l’anima e il cervello. Mi addolora il fatto che anche alcuni preti si mettano ad abbaiare solo per un momento, e che poi si inabissino per sempre nell’indifferenza. Ma occorre reagire, Gabriele! Bisogna rimettersi a correre. Se hai visto il Maestro, non puoi più pensare a te stesso e alle tue paure…   …Io so che tu, il Signore, l’hai incontrato, Gabriele. Devi riprendere a correre con l’entusiasmo di prima. Altri ti seguiranno. Non preoccuparti se alcuni si fermeranno, o se altri abbandoneranno la corsa: non l’hanno mai visto, e neanche si fidano di chi annuncia loro di averlo visto…   Ma Lui sta avanti, Gabriele, Lui ci precede!

 

Stavolta s’era accalorato il monsignore. Don Gabriele lo guardava dritto negli occhi appassionati, avrebbe voluto dirgli con parole sue quanto gli volesse bene. Ma tacque. Dopo mesi di lotta interiore, percepiva che il suo cuore disarmava, il cervello ritornava a pensare senza rumori di fondo, con l’occhio dello spirito si vide di nuovo in piedi, a correre.>>

 

Conclusione

 

Questa potrebbe essere un’immagine riassuntiva della personalità e della vicenda storica dell’uomo e presbitero don Giulio Scuvera: un uomo in piedi, un prete in corsa (l’A. del libro lo vede come “uomo pellegrino” (p. 35), insomma uno che non poteva fermarsi e non poteva neanche tacere, perché lui, il Cristo, l’aveva visto apparirgli veramente.

 

Don Giuseppe D’Aleo - Butera, 04.02.2012.